Per spiegare che cos’è l’Amarone è necessario fare qualche passo indietro e parlare del Reciotto che potremmo definire come il padre del protagonista di quest’articolo.
Il metodo di produzione del Reciotto è molto complesso, infatti per prima cosa vengono scelte le uve migliori del grappolo, poi vengono fatte appassire per 2/3 mesi sulle arelle, stuoie di canne di bambù, in luoghi ben arieggiati. Oltre all’appassimento una caratteristica del Reciotto è la dolcezza, data dal blocco anticipato della fermentazione alcolica con l’abbassamento della temperatura, fermando quindi li lieviti prima che riescano a mangiare tutti gli zuccheri.
La storia che narra la nascita del nome dell’Amarone risale al 1936, e viene attribuita al capo cantiniere della Cantina Sociale della Valpolicella, Adelino Lucchese, che scopre una botte di Riciotto nascosta dimenticata lì prima del blocco della fermentazione. Una volta spillato e assaggiato quel Reciotto dimenticato coglie subito la caratteristica in contrasto con il classico Reciotto cioè il fatto di essere secco e non dolce, quasi amaro. Quando fece assaggiare questo vino al direttore della cantina, lui esclamò “Questo non è amaro, è Amarone”, in dialetto locale.
Da quel momento in poi il percorso che ha portato l’Amarone al successo attuale è stato lungo, infatti da “errore” ad emblema della Valpolicella e a coprire il 20% della produzione di vino della zona, ci sono stati diversi passaggi intermedi, tra questi per esempio il nome in dialetto che gli veniva dato “Reciotto scapà” ovvero “Reciotto scappato” quasi sottovalutandone il valore, o per molto tempo legando il nome Amarone al Reciotto sulle etichette come se fosse una variabile meno qualitativa.
Sarà poi negli anni ’80 che l’Amarone avrà il grande successo incontrando i gusti del mercato più importante a quel tempo, ovvero quello Americano. Ancora oggi il mercato di riferimento è quello estero con il 75% della produzione esportata.
Il disciplinare della DOCG dell’Amarone della Valpolicella dice che la composizione dev’essere per una percentuale che varia da 45% a 95% da Corvina Veronese e dal 5% al 30% da Rondinella. È possibile sostituire la Corvina con il Corvinone fino ad un massimo del 50%. Possono comporre l’Amarone anche altre uve di vitigni a bacca rossa non aromatiche e autoctoni italiani la cui coltivazione è ammessa nella provincia di Verona, fino ad un massimo del 25%, tra queste una delle uve più usate è la Molinara che fino a qualche tempo fa era obbligatoria nel disciplinare.
Il processo di produzione dell'Amarone è complesso, basti pensare ai tempi di produzione che sono decisamente lunghi, per esempio il periodo di appassimento deve durare almeno fino al gennaio successivo alla vendemmia e che il periodo di affinamento in botte dev’essere di 2 anni.
Una curiosità sull’Amarone legata al mondo del cinema riguarda una celebre scena del film “Il silenzio degli Innocenti”, in cui Anthony Hopkins alias Hannibal Lecter racconta di aver mangiato il fegato di un povero disgraziato con un piatto di fave e un buon Chianti. Ma in realtà nel romanzo di Thomas Harris, il dottor Lecter parla di Amarone. I produttori hollywoodiani hanno deciso di sostituire il vino pensando che non fosse abbastanza riconducibile all’Italia l’Amarone.
Per onestà siamo costretti a dire che la nascita dell’Amarone può essere attribuita ad un processo evolutivo più lento basato su numerose prove, ed errori, spinto dalla domanda di mercato, proprio come afferma il consorzio di tutela. Ma se non è il primo nostro articolo che leggete potrete immaginare a quale storia scegliamo di credere. :)
L’Amarone è una perla assoluta del mondo vitivinicolo italiano e possiamo solo consigliarvi di assaggiarlo se non lo avete ancora fatto.