Stava per finire tutto…la Fillossera!

Stava per finire tutto…la Fillossera!

In questo articolo di Curios.IUAIN parliamo di come il vino sarebbe potuto essere solo un bel ricordo tramandato nei libri di storia.

Si pensa che a metà del 19° secolo vennero importate alcune piante dall’America in Europa ma con al seguito un insetto che aggredì le viti di quasi tutto il vecchio continente, il quale in seguito verrà nominato Daktulosphaira Vitifoliae ma meglio conosciuto con il nome di Fillossera della vite.

Nel giro di pochi anni la Francia, che in quel periodo era lo stato con il maggior numero di ettari vinificati, venne devastata da questo insetto che attacca sia le parti della pianta esterne al terreno ma soprattutto le radici, rendendo la pianta incapace di assorbire dal terreno i nutrienti.

Nonostante i tentativi di limitare l‘infestazione, l’insetto si sviluppò in quasi tutta Europa, arrivando anche in Italia.

Per rendere l'idea della capacità devastatrice basta leggere i dati della produzione annuale di vino in Francia che passa da 80 milioni di ettolitri l'anno a circa 25 milioni di ettolitri nel 1887, con più di un milioni di ettari di vigneti distrutti.

I produttori di vino insieme ad esperti del settore botanico, biologico e vitivinicolo in generale studiarono dei metodi per combattere la fillossera, tra questi ci furono dei tentativi che si rivelarono inefficaci come sommergere i vigneti per soffocare gli insetti.

Un metodo che per molti anni fu il più diffuso nel combattere questo insetto è la solforazione del terreno, che consiste nell’iniettare nel terreno intorno alle viti solfuro di carbonio.

Parallelamente ai modi per debellare lo sviluppo dell’insetto si analizzò un metodo diverso per evitare la distruzione totale delle viti coltivate in Europa e la produzione di vino derivante, infatti si notò che le viti americane erano più resistenti all'attacco dell'insetto e non morivano perché le radici non venivano attaccate a differenza delle viti europee.

Per anni si discusse tra i sostenitori dei due metodi più accreditati ovvero i ”sulfuristi” e gli “americanisti”, fino a quando il reimpianto fu il metodo più diffuso per evitare la totale distruzione delle viti europee.

Le analisi fatte sulle piante evidenziarono che le viti americane avevano radici più resistenti alla Fillossera e le foglie di quelle europee erano meno soggette all’attacco degli insetti. Quindi la soluzione più funzionale fu quella dell’innesto: parte inferiore di “Vitis Berlandieri”, “Rupestris”, “Riparia” o loro incroci e parte superiore “Vitis vinifera” creando il Portinnesto 41B.

Con uno sforzo immenso di lavoro e di denaro e superando un notevole scoglio di resistenza degli integralisti la maggior parte delle viti vennero sostituite in tutta Europa, cosi da garantire la prosecuzione della produzione di vino in quei paesi dove la cultura vitivinicola stava mettendo le basi di quella che è oggi.

Dalla metà del ‘800 per quasi un secolo l’uomo ha combattuto con una delle peggiori calamità che abbia mai colpito l’agricoltura, e solo con la comunione di intenti di grandi esperti del settore, come lo studioso Pierre Viala che per più di sei mesi viaggiò per gli Stati Uniti d’America in cerca di piante adatte ai terreni europei, si riuscì a contrastare quella che fu soprannominata la “Bestia” (Bête) o “Fillossera devastatrice” (Phylloxera vastatrix).

Nonostante la capacità devastatrice di questo insetto alcune viti sono riuscite a sopravvivere e vengono chiamate “a piede franco”, i motivi della sopravvivenza non sono accertati ma le viti in terreni sabbiosi e vulcanici sono state il maggior numero di quelle a salvarsi.

Quindi in conclusione a parte un numero esiguo di viti autoctoni, i vitigni che ci danno la possibilità di godere del piacere di bere un buon calice di vino sono figli della resilienza e della volontà di resistere nonostante le difficoltà dell'uomo.

 

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